L'ITALIA E LE ALGHE:Biodiesel



L’Italia e le alghe
La tendenza mondiale si sta osservando anche in Italia, dove si
sta investendo molto sullo sviluppo tecnologico delle coltivazioni
e dei processi produttivi in cerca della soluzione ottimale
per ottenere un prodotto industrializzabile e competitivo sul
mercato dei carburanti. I progetti in corso sono diversi.

Il problema da superare, quasi ovunque, è trovare il sistema
giusto per produrre queste alghe marine ecologiche
che bruciano anidride carbonica. Il Friuli-Venezia
Giulia, in questo senso, sembra fare da battistrada in
Italia. L’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica
sperimentale (Ogs) ha da poco firmato un accordoquadro
di cooperazione scientifica con l’Università tecnologica
nazionale (Utn) di Mar del Plata (Argentina)
per la produzione efficiente di biodiesel da alghe marine.
Il progetto di collaborazione tra l’Ogs e l’Utn prevede
la ripartizione degli ambiti di ricerca sulla base delle
rispettive competenze. All’Ogs spetterà il compito di
selezionare ceppi di microalghe particolarmente adatti
alla produzione di biodiesel. Oltre a ciò, i ricercatori di
Trieste dovranno testare diversi protocolli sperimentali
per individuare le condizioni di temperatura e luminosità
più adatte alla proliferazione delle alghe, studiando
anche un terreno di coltura ottimale in cui questi organismi
possano produrre quantità consistenti di acidi grassi
da cui ricavare il biodiesel. In seconda battuta, i chimici
del laboratorio triestino svolgeranno le analisi necessarie
per individuare tipologie e quantità specifiche di ciascun
acido grasso prodotto dalle alghe. Ai colleghi argentini,
invece, toccherà il compito di sperimentare terreni di
coltura alternativi e sviluppare una tecnologia per la produzione
massiva (
scaling-up
) dei ceppi di alghe individuati
in Italia, come l’utilizzo di residui cloacali, che permetterebbe
di ridurre i costi di laboratorio riutilizzando
prodotti di scarto, ovviamente molto abbondanti e di
facile reperibilità. A Venezia, invece, l’autorità portuale
e la società di energie alternative Enalg faranno nascere
la prima centrale energetica a biomasse ricavate dalle
alghe in Italia. Il progetto del porto della città prevede
un investimento di 190-200 milioni di euro e produrrà
circa 40 MW, ossia l’equivalente della metà dell’energia
necessaria agli abitanti del centro storico di Venezia e un
terzo della centrale Enel di Porto Marghera. La centrale
sarà a emissioni zero. Le alghe - le stesse che si trovano
in laguna - saranno coltivate in un’area grande fra gli 8
e i 12 ettari, individuata fra quelle dismesse a Marghera.
Il procedimento segue queste fasi: la biomassa prodotta
viene essiccata e lavorata. Se ne ottiene così una miscela
di idrogeno e monossido di carbonio con la quale si alimenta
una turbina per la produzione di energia. Il gas
di scarico della turbina (CO
2), infine, viene nuovamente
immesso in circolo per alimentare le alghe che se ne
nutrono. In questo caso, l’operazione tecnica principale
che si compie riguarda l’aumento della concentrazione
di alghe per metro cubo di un milione di volte rispetto
a quanto avviene in natura. Se il progetto avrà successo,
sarà proposto anche a Ravenna, Trieste e Capo d’Istria,
città con cui Venezia ha avviato accordi di cooperazione.
Una crescita più intensiva delle alghe è poi l’argomento
al centro di un progetto di ESAE srl, uno
spin-off
(ossia una nuova entità giuridica) dell’Università degli
Studi di Milano (facoltà di Agraria) specializzato
nella riduzione della CO
2 a livello globale. I ricercatori
Cesare Sparacino e Paolo Broglio hanno infatti messo
a punto uno speciale bioreattore in grado di produrre
enormi quantità di biomassa algale in poco tempo e a
costi irrisori. I risultati sperimentali sono incoraggianti
e i due studiosi si apprestano a collaudare il sistema in
media scala per poi passare all’impianto industriale che
dovrebbe permettere di superare le difficoltà del settore
dovute all’eccessivo costo di produzione delle alghe e del
biocarburante risultante.
Perché il biodiesel ricavato dalle
alghe, purtroppo, non ha solo pregi.

Costi e inconvenienti
del biodiesel da alghe

Le Forze Armate americane sono molto avanti negli
esperimenti sulle energie alternative e hanno constatato
anche quanto sia caro questo nuovo tipo di combustibile.
La sensibilità della Marina americana per le nuove fonti
energetiche ha già portato a introdurre imbarcazioni
come la
Makin Island
, una nave a energia ibrida che nel
viaggio inaugurale tra il Mississippi e San Diego ha risparmiato
3,4 milioni di litri di carburante. L’Aviazione,
quest’anno, avrà la certificazione necessaria per far volare
tutti i suoi aerei con biocarburanti, e l’Esercito ha
già dato pannelli solari portatili ad alcune compagnie
di soldati dispiegati nelle zone più remote dell’Afghanistan.
L’ammiraglio Philip Cullom, direttore del
Chief ofNaval Operations Energy and Environmental Readiness
Division
, ha anche dichiarato: «Adottare carburanti
ecocompatibili è nell’interesse della Marina, perché ci
consentirà di mantenere le capacità di movimento e di
combattimento. Non è solo una forma di tutela della natura,
ma una tutela della nazione intera. Possedere fonti
di energia alternativa abbondanti e affidabili ci permetterà
di non essere più ostaggio di una qualunque fonte di
energia, come accade con il petrolio».
Ma il biocarburante, per ora, costa troppo. Secondo il
giornale on-line
Marine Corps Time, nello scorso anno
la stessa Marina Militare americana ha acquistato 20.055
galloni di
biofuel derivato dalle alghe allo sbalorditivo
costo di 424 dollari al gallone. Negli Stati Uniti, attualmente,
la benzina e il gasolio che vengono normalmente
commercializzati hanno una quotazione compresa tra i
due e i tre dollari al gallone. Ma il problema non è solo
economico. Il biodiesel ricavato dalle alghe potrebbe
non essere così
green come si pensava. Facciamo prima
un passo indietro riepilogando alcune considerazioni: le
alghe sembravano la soluzione perfetta per il biodiesel.
L’opzione di produrre biocarburante coltivando mais
e altri cereali è sostanzialmente tramontata per quattro
motivi: l’aumento dei prezzi che provoca su alimenti
fondamentali per il genere umano e per gli animali da
allevamento; le grandi estensioni che vanno messe a coltivazione;
le ingenti quantità di fertilizzanti necessarie;
l’enorme dispendio di acqua che assorbono. Le alghe
erano state quindi individuate come il sostituto ideale. E
infatti negli Stati Uniti, e non solo, sono già stati destinati
grandi investimenti a studi e ricerche su come produrre
il biodiesel dalle alghe. Recentemente, la scienziata
Anna Stephenson dell’Università di Cambridge ha sviluppato
un modello al computer in grado di calcolare la
quantità di anidride carbonica che si rilascia nell’atmosfera
durante le fasi di produzione, raffinazione e consumo
di biodiesel dalle alghe. Secondo la studiosa britannica,
quando si fanno crescere le alghe negli appositi
bioreattori (fatti con tubi trasparenti), solo l’energia necessaria
per pompare acqua e far girare le alghe in modo
tale che ricevano la giusta quantità di luce solare per crescere
produce un’emissione di CO
2 pari a 320 grammi
per megaJoule equivalenti di carburante, in rapporto
agli 86 g/MJ necessari per estrarre, raffinare e bruciare
il diesel normale. La ricercatrice puntualizza però che la
coltivazione delle alghe in apposite vasche richiederebbe
meno energia di quella nei bioreattori. Il potenziale di
riscaldamento globale delle alghe coltivate nelle vasche
sarebbe anzi di 19 g/MJ, cioè circa l’80% inferiore di
quello del diesel ricavato da combustibili fossili. C’è solo
un problema, anzi due: l’acqua contenuta nelle vasche
evapora e questo sistema potrebbe addirittura richiedere
più acqua di quella, già elevata, necessaria per coltivare
cereali per il biodiesel di altro tipo. Inoltre, il raccolto
delle alghe nelle vasche tende a essere minore di quello
nei bioreattori, in quanto gli organismi ricevono in media
meno luce. E per essere competitiva, la coltivazione
deve produrre almeno 40 tonnellate di alghe per ettaro
all’anno. I quesiti sull’opportunità di produrre biodiesel
dalle alghe, pertanto, restano ancora aperti.
I dubbi sul biodiesel algale riguardano
la quantità di energia e di acqua
che richiede la coltivazione delle alghe.

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