La biomassa,biocombustibili


La biomassa

“Biomassa” è un termine che riunisce una gran quantità di materiali di natura estremamente
eterogenea.
In generale con tale parola si designa ogni sostanza organica di origine vegetale o animale
da cui sia possibile ottenere energia attraverso processi di tipo termochimico o biochimico.
Il D.L. 30/05/2005 n° 128 intende per biomassa “
la parte biodegradabile dei prodotti,
rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura, comprendente sostanze vegetali e animali, dalla
silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e
urbani”.
Queste sostanze, che direttamente o indirettamente provengono da reazioni fotosintetiche,
sono disponibili come prodotti diretti (es. colture ad uso energetico erbacee o legnose) o residui del
settore agricolo-forestale, dell’industria agro-alimentare, artigianale, industriale e civile (potature,
paglia, letame, sansa d’oliva, vinacce, gusci di frutta secca, liquami prodotti dagli impianti di
depurazione, parte organica dei rifiuti urbani).
La biomassa è dunque considerata un’energia rinnovabile anche se viene combusta per
produrre energia, perché ha origine dalla fotosintesi clorofilliana di acqua e CO
2 che dà luogo a carboidrati vegetali.
Questi carboidrati quando vengono usati come combustibili producono nuovamente CO
2,che rinnova a sua volta il ciclo della fotosintesi.
La biomassa, quindi, rappresenta la forma più sofisticata di accumulo dell’energia solare,
che vede nella fotosintesi la sua “centrale”, naturale e gratuita.
La biomassa, vista come energia solare accumulata, è un elemento chiave per una politica
economico-energetica sostenibile.
Si ricorda, inoltre, che l’anidride carbonica emessa da impianti alimentati a legna per la
produzione di energia non viene conteggiata ai fini degli accordi del Protocollo di Kyoto, quindi
tutta l’energia prodotta in tal modo è da considerarsi ad emissione zero.
La composizione chimica della biomassa (figura 8), pur variando a seconda delle tipologie, è costituita mediamente a secco dal 25% da lignina e dal 75% da carboidrati (molecole di zucchero unite fra loro in lunghe catene o polimeri).
Le due categorie di carboidrati più importanti sono la cellulosa e l’emicellulosa: i lunghi
polimeri di cellulosa sono utilizzati per costruire le fibre che danno alle piante la loro resistenza e la lignina funge da collante per mantenere unite queste fibre.
Oltre a questi due componenti principali molte specie contengono anche una piccola
percentuale di componenti non strutturali non solubili, che prendono il nome inglese di
“extractives”.

La biomassa utilizzata per produrre energia può essere materiale proveniente da fonti
residuali o il prodotto di lavorazioni dedicate, cioè coltivate specificatamente per scopi energetici, chiamate “colture energetiche”.

Fonti non residuali
:
Coltivazioni energetiche acquatiche.
Coltivazioni energetiche in terreni agricoli in eccedenza, una volta soddisfatta la
domanda di prodotti agricoli
Coltivazioni energetiche in terreni degradati o ricavati dalla deforestazione.
Fonti residuali
:
Residui della produzione agricola, suddivisi in scarti della produzione e scarti della
lavorazione.
Residui forestali e della produzione di legname.
Residui animali (letame).
Sottoprodotti o scarti dell’industria agro-alimentare.
Scarti della catena della distribuzione e dei consumi finali (rifiuti organici).
Da sottolineare che le
fonti residuali sono costituite da scarti o sottoprodotti agricoliindustriali o forestali e quindi possono essere destinate alla produzione energetica senza
praticamente incidere sulle spese di produzione o di raccolta, anzi aumentando la redditività della
coltivazione.
Non va dimenticato però che determinati scarti vengono da sempre utilizzati per fertilizzare i
terreni o impiegati come mangimi per animali. .
Le
coltivazione energetiche, al contrario, forniscono solamente la parte destinata allo
sfruttamento energetico, riducendo così il guadagno.
Inoltre, in alcuni casi, tali coltivazioni possono entrare in competizione con la produzione
alimentare e/o arrecare danno alla biodiversità.
Quindi se da una parte si ha la competizione dell’uso del suolo, fra produzione di energia e
cibo, dall’altra troviamo la duplice scelta dell’uso dei prodotti di scarto, fra scopi energetici e
produzione di materiali, come appunto fertilizzanti e mangimi.
La scelta di biomassa, quindi, da utilizzare è tutt’altro che semplice ed in generale solo uno
studio attento del territorio, che tenga conto delle sue peculiarità, può portare alla scelta più idonea e
conveniente, sia dal punto di vista economico che ambientale .
Nel caso specifico dello studio svolto, si sono esaminati residui della produzione agricola, e più precisamente scarti della produzione (gusci di noccioli) e scarti della lavorazione (potatura di noccioleti).
Questi rientrano nella classificazione dei biocombustibili solidi.

Biocombustibili solidi
In base alla classificazione del CTI (Comitato Termotecnico Italiano) che per prima ha
tradotto, la specifica tecnica europea pr CEN/TS 14588 “
Solid Biofuels Teminology, Definitions
and Description
”, ormai divenuta norma UNI CEN/TS 14588 (“Biocombustibili solidi:
Terminologia, Definizione e Descrizioni” pubblicata il 1/5/2005), i biocombustibili solidi vengono
distinti in base a :
• natura e provenienza;
• aspetto esteriore (forme commerciali) e proprietà.
La classificazione, mostrata in tabella 13, illustra il sistema gerarchico dei principali gruppi
di biocombustibili in relazione a natura e provenienza, dividendo la biomassa, nel primo livello, in :
1. Biomassa legnosa.
2. Biomassa erbacea.
3. Biomassa da frutti.
4. Miscele e miscugli di biomassa.

Per biomassa
legnosa si intendono alberi, arbusti e cespugli; per biomassa erbacea, vegetale con fusto non-legnoso, che muoiono alla fine della stagione vegetativa; per biomassa da frutti la parte commestibile di un albero o di un arbusto che contiene i semi; e per miscele e miscugli di biomassa, i composti di materiali di diversa origine. In particolare, la composizione di un miscugliodeve essere specificata, indicando anche l'eventuale presenza di materiale trattato chimicamente. È,inoltre, necessario indicare, come si vede nel secondo livello, se la biomassa è un prodotto delle attività colturali o forestali, un sottoprodotto, un residuo industriale o legno a fine vita, vergine o trattato.

La biomassa grezza può essere trasformata direttamente in calore ed elettricità (
biopower
)
con processi simili a quelli usati per i combustibili fossili, oppure essere trasformata in
biocombustibili (
biofuels) da convertire in seguito in energia o in prodotti per l’industria chimica
(
bioproducts).
Tutte le tecnologie di conversione usate per ottenere questi tre tipi di prodotti rientrano in tre
grandi categorie,come mostra la figura 11:
Processi meccanici/chimico-fisici estrazione oli ( filiera biodiesel)
Processi biochimici fermentazione alcolica (filiera bioetanolo)
digestione anaerobica (biogas)
Processi termochimica pirolisi
gassificazionecombustione
Quindi le principali applicazioni della biomassa sono: produzione di energia (biopower),
sintesi di carburanti (biofuels) oppure sintesi di prodotti (bioproducts) a scopi industriali.

La biomassa, diversamente dalle altre rinnovabili, può essere trasformata in combustibili
solidi, liquidi e gassosi.
Il termine “
biofuels
” (= biocombustibili
) potrebbe, quindi, riferirsi anche ai combustibili
usati per la produzione di energia elettrica, ma in genere si riferisce ai combustibili
liquidi o gassosi
impiegati nei mezzi di trasporto
.
I
biocarburanti (traduzione impropria di “biofuels”), esplicitamente citati dalla direttiva
europea 2003/30/CE, recepita dalla legislazione italiana con il D.L. 30/05/2005 n° 128, sono:
- bioetanolo, biodiesel, biogas, biometanolo, biodimetiletere, bio-ETBE (basato sul
bioetanolo; il 47% è considerato rinnovabile), biocombustilbili di sintesi derivanti da biomasse( FTliquid),
bioidrogeno, oli vegetali puri.
I più comuni biofuels, attualmente in uso, sono:
bioetanolo, alcool etilico, ottenuto da colture zuccherine o amidacee, e i suoi derivati
chimici come l’etere etilterbutilico (
ETBE);
oli vegetali, ottenuti a partire da colture oleaginose e utilizzati generalmente sotto forma di
derivati modificati chimicamente (esteri metilici) con il nome di
biodiesel.
Il
bioetanolo - o alcool etilico, C2H5(OH) - è ottenuto attraverso la fermentazione degli
zuccheri ricavati da qualunque materia prima vegetale che contiene o che può essere trasformata in
zuccheri, come l’amido e la cellulosa.
La produzione di etanolo da cellulosa è però ancora in fase sperimentale. Oggi, tra i
carburanti alternativi per il trasporto, l’etanolo, o meglio il suo derivato ETBE
xii, mostra il miglior compromesso tra prezzo disponibilità e prestazioni.

Gli
olii vegetali
possono essere estratti dalle piante oleaginose (soia, colza, girasole, ecc.).
Caratteristica comune di tutte le oleaginose è quella di essere ricche di materie proteiche che, dopo
l’estrazione dell’olio, sono impiegabili nell’alimentazione animale sotto forma di panelli.
Il
biodiesel è prodotto, invece, a partire dagli stessi oli vegetali (di colza o di palma), ma
anche dagli oli di scarto e dal grasso animale, grazie ad una serie di tecnologie di esterificazione e
transesterificazione, in condizioni operative di bassa temperatura e pressione.
Gli olii possono essere, quindi, utilizzati come combustibili nello stato in cui vengono
estratti oppure dopo esterificazione.
Da ricordare, inoltre, un altro biocombustibile liquido è il
biometanolo (CH3OH).
Infatti il metanolo, noto anche come alcool del legno, è prodotto di solito dal gas naturale
ma può essere altresì sintetizzato dalla biomassa.
Una strada alternativa, quindi, è la conversione catalitica del syngas prodotto tramite
gassificazione.


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