BIODIESEL, ALGHE


BIODIESEL, ALGHE    


Applicazioni delle microalghe
Ad oggi le microalghe sono usate per diversi scopi, che possono andare dalla produzione di
prodotti nutritivi a quella di cosmetici e di medicinali per l‘uomo. Si tratta di un mercato
molto regolamentato e dominato da poche specie di microalghe, di cui si conoscono bene le
proprietà (Spirulina, Dunaliella e Chlorella). La Chlorella ad esempio ha effetti benefici sui
reni e viene usata per produrre medicinali. Altre microalghe sono invece usate per le loro
capacità medicinali e si usano per produrre gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) capaci di
ridurre i rischi cardiovascolari o anche come additivi nel latte per bambini.

Un altro campo di impiego delle microalghe è rappresentato dall‘alimentazione animale, dove
si sfruttano gli effetti benefici che queste producono, come l‘aumento della risposta
immunitaria, miglioramento della fertilità e di altre caratteristiche estetiche dell‘animale stesso. Le specie animali che vengono principalmente nutrite con microalghe sono i
molluschi, i pesci, i gamberetti. La destinazione di microalghe per queste applicazioni è bassa,
con fette di mercato non molto rilevanti, ma si tratta di produzioni ad alto valore aggiunto.
Da alcuni anni però si studiano processi per produrre energia dalle microalghe e le possibilità
che esse danno sono molte.
Con la conversione biochimica si possono ottenere biodiesel (con la transesterificazione),
l‘etanolo (con la fermentazione) e il biogas (con la digestione anaerobica). Per la produzione
di biodiesel si passa dall‘estrazione dei lipidi dalla biomassa e poi questi vengono convertiti in
biocarburante. La produzione di etanolo invece prevede una fermentazione diretta della
biomassa dopo averne distrutto le cellule degli utilizzando opportuni enzimi o metodi
meccanici. Infine, la digestione anaerobica, che trasforma materia organica in un gas
contenente per la maggior parte metano, è un processo adatto per trattare la biomassa spenta
che rimane dall‘estrazione dei lipidi.
Si annoverano poi un‘ampia gamma di processi termochimici per il trattamento di biomasse.
La gasificazione è un esempio di conversione termochimica, dove un certo substrato
(idrocarburi, biomassa) sono trasformati in gas di sintesi (syngas, una miscela di CO, CH4,
H2, CO2). Con questa tecnologia, la biomassa viene convertita direttamente in metano senza
essere essiccata e l‘azoto presente viene trasformato in ammoniaca. La biomassa liquida può
anche essere convertita direttamente in carburante liquido se viene liquefatta con acqua in
condizioni supercritiche (liquefazione). Un altro processo termochimico è la pirolisi che
converte la biomassa, precedentemente essiccata, in biocarburante liquido, residuo carbonioso
(biochar, che ha mercato come fertilizzante per terreni) e gas, eseguendo una combustione in
assenza di aria. Infine, si può bruciare direttamente la biomassa in presenza di aria
(combustione) convertendola in gas caldi i quali possono essere usati per produrre energia
elettrica.

Microalghe: vantaggi nella produzione di bioenergia
Negli ultimi anni le microalghe si stanno affermando come una delle alternative alle fonti
fossili a più alto potenziale (Chisti, 2008) presentando considerevoli vantaggi rispetto ad altre
colture nella produzione di biocombustibili. Nella tabella 1.1 sono confrontate le diverse fonti
di biocarburante attualmente disponibili.
Innanzitutto, la produttività delle microalghe per ettaro di superficie coltivata risulta molto
elevata. Richiedono una minor quantità di terreno rispetto alle coltivazioni estensive di
cereali. Si calcola che se una percentuale tra l‘1% e il 3% del terreno degli Stati Uniti fosse
coltivata con microalghe il biodiesel prodotto basterebbe a soddisfare il 50% della richiesta di
carburante per il trasporto; se si volesse raggiungere lo stesso risultato con la produzione di
olio di palma servirebbe il 24% del terreno (Chisti, 2007). La produttività di biocombustibili
da microalghe dipende dalla percentuale di olio in esse contenuto, che può assumere valori
 variabili in base alla tipologia, ma tipicamente il livello di lipidi è piuttosto elevato:
mediamente intorno al 50%, anche se alcune specie possono arrivare all‘80% (Hu et al,
2008).
Inoltre, questi microrganismi hanno ritmi di crescita più brevi delle comuni coltivazioni
terrestri, poiché mediamente riescono a duplicarsi nell‘arco di 24 ore.
Alcune alghe crescono in ambiente marino, piuttosto che in acqua dolce. Questo permette di
limitare l‘uso di fonti fresche di acqua, soprattutto rispetto all‘utilizzo estensivo che si ha con
le colture di cereali.

La crescita delle microalghe è consentita dalla luce, fondamentale per la fotosintesi, oltre che
dalla presenza di anidride carbonica e nutrienti, principalmente nitrati e fosfati. Per quanto
riguarda la fonte di carbonio, la possibilità di sintetizzare CO2 gassosa (circa 2 grammi di CO2
ogni grammo di alga) contraddistingue questi microrganismi e produce interessanti
opportunità di mitigazione delle concentrazioni di gas serra in atmosfera. Va anche
sottolineato come il recupero di questo composto gassoso sia possibile anche da correnti
relativamente contaminate da altre sostanze, come i fumi di combustione di centrali elettriche.
Per quanto riguarda gli altri elementi nutritivi, fosfati e nitrati sono solitamente forniti tramite
fertilizzanti, anche se buona parte della ricerca scientifica si occupa del loro potenziale
recupero da effluenti provenienti da altri processi, tipicamente dalle acque reflue degli
impianti di trattamento. Lo sviluppo di microalghe a fini energetici rispetto alle colture di
cereali, è inoltre incentivato dallo scarso utilizzo di prodotti chimici, quali erbicidi e pesticidi.

Processo di produzione di bio-olio da microalghe 
Tra le varie possibili destinazioni della biomassa algale a fini energetici, illustrate in figura 
1.3, questo lavoro di Tesi prende in considerazione la produzione di olio, analizzando le varie 
fasi del processo, dalla coltivazione dei microrganismi fino all‘estrazione dei lipidi. 
Scendendo più nel dettaglio, i processi per la produzione di olio da microalghe prevedono 
essenzialmente uno stadio di produzione, dove avviene la crescita cellulare, seguito da uno 
stadio di separazione della biomassa e da uno di estrazione dei lipidi. L‘olio può essere 
destinato a diversi trattamenti. Una possibilità è convertire i lipidi in esteri metilici, che 
costituiscono il biodiesel. Ci sono anche altre possibilità per trarre energia dall‘olio, come la 
produzione di elettricità, o di biogas. La figura 1.4 riporta un tipico schema a blocchi di un 
processo per la produzione di biodiesel e biogas. 
Nei seguenti paragrafi verrà effettuato un rapido riassunto delle caratteristiche generali 
comuni a tutte le possibili alternative. 

Stadio di crescita delle microalghe 
Lo stadio di crescita delle microalghe è quello su cui si stanno concentrando i maggiori sforzi 
della ricerca a causa della complessità dei fenomeni coinvolti. Questa fase del processo ha 
luogo nei bioreattori, termine generico che indica un reattore dove avviene una reazione 
biologica. Di seguito verranno descritti i requisiti generali che dovrebbero essere soddisfatti 
da un bioreattore generico, mentre le diverse tipologie costruttive saranno illustrate nel 
capitolo 2. 
Le microalghe sono organismi particolarmente sensibili alle variazioni dell‘ambiente esterno 
e necessitano che le condizioni favorevoli alla loro crescita vengano garantite in modo 
relativamente stabile. La velocità di crescita è influenzata da diversi fattori: quantità e qualità 
di luce, temperatura, concentrazione di nutrienti, quantità di ossigeno, pH, salinità, livello di 
inquinamento (dovuto a batteri, funghi e virus), mescolamento, shear stress, frequenza delle 
sequenze luce/buio. 
La progettazione di un bioreattore deve tenere conto di tutti i fattori citati e garantirne la 
combinazione tale da ottimizzare la velocità di crescita. Tra questi fattori, nel seguito si 
prendono in esame: luce, temperatura, salinità e mescolamento. 
L‘energia solare è il motore principale della crescita delle cellule algali, che, infatti, avviene 
solo nelle ore diurne nel caso si usi luce naturale. Pertanto è necessario che tutta la massa 
algale sia investita dalla radiazione e non ci siano porzioni in ombra, per non avere perdite di 
produttività. 
Per quanto riguarda la temperatura, essa è considerata il più importante fattore di influenza 
dopo la luce. Gli effetti della temperatura su piccole colture di laboratorio è ben documentato, 
mentre non ne è nota l‘influenza su scala industriale. 
Molte microalghe sono in grado di tollerare temperature fino a 15 gradi inferiori rispetto al 
loro punto di ottimo, ma spesso bastano solo 2-4°C di eccesso per generare la totale perdita di 
vitalità della coltura. Un bioreattore deve essere in grado di mantenere la temperatura della 
coltura vicina al punto di ottimo (in genere 20-26°C) mediante opportuni sistemi di 
raffreddamento e riscaldamento. 
Anche la salinità può influenzare la crescita e la composizione cellulare delle microalghe. 
Ogni microalga possiede degli intervalli ottimali di salinità che possono variare in condizioni 
ambientali ostili. In genere il modo più semplice per controllare la salinità consiste 
nell‘aggiungere acqua desalinizzata. 
Infine, è fondamentale garantire un adeguato mescolamento, per avere un‘omogenea 
distribuzione di cellule, metaboliti, nutrienti e gas, mantenendo così la velocità di crescita su 
livelli accettabili. Il grado di turbolenza non deve però essere eccessivo perché potrebbe 
causare danneggiamento cellulare per effetto dello stress meccanico. Nella progettazione di 
un bioreattore vanno quindi studiati il livello limite di turbolenza accettabile e le modalità di 
mescolamento più convenienti. 

Separazione della biomassa 
La separazione della biomassa è un processo altamente specifico per la specie microalgale che 
viene trattata, e generalmente può richiedere uno o più stadi perché si ottenga la percentuale 
desiderata di solidi sospesi (TSS). Secondo diversi autori, il costo complessivo richiesto da 
questa fase arriva ad incidere per una quota pari al 20-30% dei costi totali di produzione . 
Le tecniche più comuni per condurre la separazione sono la sedimentazione, la 
centrifugazione, la filtrazione, l‘ultrafiltrazione, la flottazione e la flocculazione o una 
combinazione delle tecniche precedenti. Le difficoltà principali del processo sono determinate 
dalla bassa concentrazione di biomassa che spesso si ritrova negli impianti (0.3-0.5 g l-1
) e dalle dimensioni molto ridotte di molte specie microalgali (2-40 μm). 


Estrazione dei lipidi 
A valle della fase di separazione, si separa una soluzione più concentrata in biomassa, con una 
percentuale del 5-15% di solido secco, che, per la sua elevata deperibilità, va sottoposta in 
modo rapido al trattamento successivo di estrazione dei lipidi, dai quali può essere poi 
prodotto il biodiesel. Esistono due tecniche alternative per l‘estrazione dei lipidi: una tecnica ―a umido‖ (wet route) 
e una tecnica ―a secco‖ (dry route), che si differenziano nei valori tipici iniziali di solidi 
sospesi su cui vengono applicate. Con la tecnica a secco la concentrazione deve essere molto 
alta, mentre con la tecnica a umido, l‘estrazione avviene direttamente sulla fase liquida a 
basse concentrazioni di solidi sospesi. 

Estrazione con dry route 
Nel caso si voglia estrarre i lipidi a secco, la concentrazione dei solidi sospesi in uscita dal 
primo stadio di separazione, risulta troppo bassa. E‘ necessario quindi operare un ulteriore 
passaggio, che consiste in un‘essicazione (drying), meccanica o termica, tra cui, il secondo 
trattamento risulta più efficiente, ma anche molto dispendioso dal punto di vista energetico. 
Una volta portata la biomassa a concentrazioni prossime al 90% di TSS, si deve operare una 
distruzione della parete cellulare, così da poter estrarre i lipidi senza difficoltà. Questo 
passaggio si può operare con diverse tecnologie basate su ultrasuoni, omogeneizzatori o 
mulini a microsfere (Chisti e Moo-Young, 1986, Lee et al, 2010). 
Una volta distrutte le cellule, si può procedere all‘estrazione con solvente, analogamente a 
quanto avviene nella procedura impiegata per ricavare l‘olio dai semi di soia (Xu et al, 2011). 
Generalmente, il metodo di Bligh and Dyer viene consigliato in letteratura (Lee et al, 2010), 
che utilizza una miscela metanolo/cloroformio oppure esano/etanolo come solventi di 
estrazione. 

Estrazione con wet route 
Con lo scopo di abbassare i costi energetici delle dry route, che per più del 70% sono dovuti 
all‘essiccamento termico (Lardon et al, 2009), si sono cercate soluzioni tecnologiche diverse. 
Nella via a secco, risulta particolarmente critica la necessità di raggiungere elevate 
concentrazioni di biomassa prima dell‘estrazione. Di conseguenza, tra le alternative 
tecnologiche, si è proposta la cosiddetta via ad umido, nella quale si esegue l‘estrazione a 
valle di una fase di distruzione cellulare effettuata direttamente sulla biomassa umida ottenuta 
dopo lo stadio di separazione. Le tecnologie più indicate sembrano essere dei mulini a sfere, 
oppure l‘ultrasonicazione (a patto di abbassarne i costi su scala industriale. 
Ad oggi non esistono impianti a livello industriale che utilizzino la via ad umido (Xu et al, 
2011), ma sembra molto promettente per garantire vantaggio competitivo della futura 
produzione di biodiesel dalle microalghe.

Produzione del biodiesel 
In genere la produzione di biodiesel avviene mediante la reazione di transesterificazione. 
Tipicamente, i trigliceridi vengono fatti reagire con metanolo per produrre esteri metilici o acidi grassi (che costituiscono il biodiesel) e glicerolo.
 La reazione si svolge in tre passaggi intermedi: dapprima i trigliceridi sono convertiti in 
digliceridi, poi in monogliceridi ed infine in glicerolo. Si tratta di una reazione d‘equilibrio 
che prevede l‘utilizzo di un largo eccesso di metanolo (rapporto molare 6:1) per raggiungere 
rese del 98%. In genere si predilige una catalisi di tipo basico (NaOH, KOH) condotta a 60°C 
in condizioni di pressione atmosferica. In queste condizioni il tempo di permanenza richiesto 
in reattori discontinui è di circa 90 minuti. 
Poiché i reagenti iniziali sono immiscibili tra loro, coesistono nel reattore due fasi liquide 
distinte. Sfruttando lo stesso principio, la separazione finale dei prodotti, può essere compiuta 
mediante ripetuti lavaggi con acqua per asportare il metanolo ed il glicerolo residui. 
Studi molto recenti si propongono di migliorare le prestazioni di questa fase operando in 
continuo mediante particolari tipologie di reattori (a microonde, a cavitazione, ad ultrasuoni)

Sistemi di produzione per le microalghe 
I sistemi di reazione nel quale vengono fatte crescere le microalghe possono essere suddivisi 
in due categorie: i sistemi all‘aperto e i sistemi al chiuso, che si differenziano rispettivamente 
in base al loro contatto o meno con l‘atmosfera. 
Con il termine fotobioreattori (PBR, photobioreactor) si indicano solitamente i sistemi chiusi, 
dove sono ridotti i rischi di contaminazione delle microalghe, e dove si possono migliorare i 
controlli delle condizioni operative all‘interno del sistema. Con il termine open pond si 
indicano invece i sistemi all‘aperto, caratterizzati da ampie superfici di massa acquosa entro la 
quale viene coltivata l‘alga. Sono i sistemi più semplici ma anche i più difficili da controllare 
dal punto di vista delle condizioni di crescita. 
Nonostante l‘ambiente della coltura sia più sensibile alle contaminazioni e parametri come la 
temperatura e il pH non siano facilmente gestibili, i sistemi aperti rappresentano la tecnologia 
più consolidata e matura. Tuttavia, allo scopo di rendere il biodiesel prodotto da microalghe 
competitivo con il combustibile fossile, sembra cruciale la capacità di sviluppare e migliorare 
la tecnologia dei fotobioreattori. 


 Federico Caldana


www.biodiesel100x100.net

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